Affrontiamo insieme le fragilità dei più giovani. Una comunità dimostra la propria cultura civile e sociale mettendosi in discussione e facendosi carico di chi è in difficoltà, non volgendosi dall’altra parte.

La morte di Elias,  diciotto anni, a pochi mesi da quelli di Sara, diciannove, per presunta overdose da assunzione di sostanze stupefacenti  devono scuoterci e spingerci ad una riflessione seria e responsabile. Queste due morti non possono essere derubricate come problemi che attengono alla sicurezza e trattate solo con gli strumenti propri alle forze dell’ordine perché denunciano una marginalità sociale forte sulla quale come cittadini, prima di tutto, dobbiamo aprire gli occhi e capire come intervenire a livello di comunità. Non possiamo voltarci dall’altra parte pensando che questi fatti non ci interroghino perché capitano in luoghi che non conosciamo e a famiglie che non sono originarie del nostro territorio, dobbiamo comprendere come il livello di tenuta sociale della nostra città passa da qui, dal farsi carico di chi è più debole e rischia di rimanere isolato. La fragilità dell’adolescenza si accompagna, per questi ragazzi, all’uscita dal mondo della scuola molto presto, a dinamiche  di esclusione, alla scarsità di luoghi di incontro e alla mancanza di prospettive concrete di realizzazione personale. I modelli abituali di relazione che abbiamo vissuto: scuola, attività sportive, oratorio, quartiere non sono accessibili e adatti ad ogni ragazzo, alcuni  comportano spese per iscrizioni e attrezzature, altri hanno un connotato religioso o non incontrano i gusti di tutti ragazzi. Dobbiamo ripensare modalità formative e di accompagnamento nuove che vadano incontro alle esigenze dei più giovani per incontrarli nei loro luoghi e per abbattere il muro della diffidenza anche generazionale tra gli adulti giudicanti che impongono verità dall’alto e i ragazzi che hanno bisogno di persone formate in grado di ascoltare i segnali che inviano. A Sansepolcro fino a un anno fa era aperto il Centro giovani, attivo dai primi anni 2000, un luogo in cui era possibile incontrarsi, giocare, chiacchierare e avere a disposizione personale formato, operatori di strada, con il compito semplicemente di accogliere un pensiero, un problema, un bisogno. Un servizio a bassissima intensità in relazione con i servizi sociali e con il SERT, accessibile a tutti e non connotato. Il Centro giovani è solo un esempio di servizio di prevenzione possono esserci altri modelli, pensiamo insieme risposte nuove e per questo chiediamo alle Istituzioni con forza e responsabilità di aprire un confronto, una discussione seria con gli operatori dei servizi, con il mondo della scuola, con chi ha a che fare con l’educazione dei giovani, sulle strategie di prevenzione e sulla tipologia di servizi innovativi da mettere in atto per supportare nella crescita i ragazzi più fragili, quelli che fatichiamo a vedere, quelli che troppo spesso rimangono ai margini della nostra città e rischiano di perdersi. Queste morti interpellano la coscienza di una comunità che dimostra la propria cultura civile e sociale mettendosi in discussione e facendosi carico di chi è in difficoltà, non volgendosi dall’altra parte.